sabato 8 marzo 2014

Aprile 1978 - Il primo importante dossier italiano sull'animazione giapponese (prima parte)



Dietro all'insospettabile copertina del n. 17 (aprile 1978) del settimanale Radiocorriere TV (consultabile nell'archivio on-line della rivista), si nasconde il primo importante approfondimento sull'animazione giapponese ad essere stato pubblicato in una rivista italiana, nel periodo in cui era in corso la messa in onda delle prime puntate di Atlas Ufo Robot (aka Ufo Robot Goldrake). In esso, oltre ad alcuni errori dovuti ai pionieristici tempi in cui venne scritto, trovano spazio anche riferimenti alla cultura nipponica e ad imprevedibili serie animate giapponesi, ricorrendo all'uso di un termine entrato nel linguaggio comune, in Italia, solo a partire dagli anni '90: manga!


Heidi, Radiocorriere TV n. 6, febbraio 1978

Così l'allora direttore della rivista, Gino Nebiolo, presenta l'approfondimento sull'animazione giapponese all'interno del suo editoriale (cfr. pag. 6): "La nostra scoperta che, oltre ai transistors, i giapponesi alla chetichella sono diventati i maggiori produttori mondiali di cartoni animati: molti tra i recenti successi che passano in tv (Heidi, Ufo Robot per citarne qualcuno) sono made in Japan". In precedenza, per introdurre la serie tv di Heidi (in onda dal 7 febbraio 1978 alle 17:05 su Rete 1, l'attuale Raiuno), la rivista aveva pubblicato un articolo firmato da Carlo Bressan sul n. 6 (cfr. pag. 22-23), incentrato principalmente sul romanzo originale di Johanna Spyri, nel quale si legge la seguente presentazione della serie giapponese: Ora abbiamo una nuova trasposizione del celebre romanzo in cartoni animati: 52 episodi a colori della durata di 25' ciascuno in onda sulla Rete 1, tre volte la settimana [martedì, mercoledì e giovedì]. La serie, che viene distribuita dalla Beta Film di Monaco di Baviera, è stata realizzata da un gruppo di artisti giapponesi: Isao Takahata [regista generale della serie], Kei Kuroki [storpiatura di Keishichi Kuroki, direttore della fotografia], Yoichi Yatabe [Yoichi Kotabe, character designer], Masahiro Lioka [Masahiro Ioka, direttore artistico].

Copertina del Radiocorriere n. 4, gennaio 1978

Prima del dossier del n. 17 sull'animazione giapponese, il Radiocorriere, in quello stesso anno, aveva già dedicato accurati approfondimenti al mondo della fantascienza (diviso in 4 parti, cfr. nn. 4/7, dedicate rispettivamente al fumetto, al cinema, alla letteratura e alla tv, concludendosi con la pubblicazione del racconto "Zio Einar" di Ray Bradbury) e a Superman (cfr. n. 15, dove sono citate le opinioni di commentatori illustri come Umberto Eco e Marshall McLuhan sul personaggio), il supereroe che, a partire dal 4 aprile 1978, è tornato in tv con un suo cartoon degli anni '60 sulla Rete 2 (Raidue), condividendo lo spazio del programma Buonasera con... (in onda dalle 18:45 alle 19:45, dal martedì al sabato, fino al 6 maggio), condotto da Maria Giovanna Elmi e scritto da Nicoletta Artom e Sergio Trinchero, con una sconosciuta serie animata giapponese di fantascienza, Atlas Ufo Robot, avente per tema gli UFO e l'invasione aliena, introdotta con un articolo di Teresa Buongiorno sul n. 14 della rivista, e accompagnata dal concorso "Ufo Robot" iniziato sul n. 15 del Radiocorriere (valido fino al n. 18 e rivolto a tutti coloro al di sotto dei 17 anni). Con il n. 17 del settimanale, finalmente, per la prima volta viene presentato all'opinione pubblica italiana (senza però farne menzione sulla copertina di quel numero), un ampio approfondimento sul mondo dell'animazione e del fumetto in Giappone, poiché, anche per il paese del Sol Levante vale quanto scrisse Sergio Trinchero nel suo saggio I grandi eroi del cartone animato americano (edito da Gremese nel 1972): "fumetti e disegno animato sono due fenomeni complementari e vano sarebbe discutere e analizzare criticamente e storicamente, un mezzo d'espressione prescindendo dall'altro" (cfr. pag. 8).



L'approfondimento del n. 17, dal titolo "Il fumetto a mandorla", è firmato da Teresa Buongiorno e testimonia quanto fosse profonda la conoscenza dell'animazione giapponese all'interno della Rai della fine degli anni '70, dove, alla tv dei ragazzi, lavoravano la Artom e Trinchero, i probabili fornitori del materiale informativo a cui la Buongiorno può aver attinto per la preparazione del suo servizio. Al termine di una breve introduzione in cui si citano Heidi e Atlas Ufo Robot (definito "le guerre stellari di un'America del duemila"), la giornalista si chiede da dove provengano questi cartoni, riportando la sensazione che molte persone ebbero in Italia di fronte a quelle produzioni, cioè l'impressione che di "sapore nipponico, non hanno più che i titoli di coda?", poiché si trattava di opere molto diverse da quelle fino ad allora associate alla cultura nipponica e alla produzione animata giapponese che si era vista nei festival cinematografici europei e, occasionalmente, in tv.

Noburo Ofuji (fonte)

A questo punto, la Buongiorno inizia a trattare la storia dell'animazione giapponese, partendo da "Hanami Zake" (aka "Hanamizake", 1924, traduzione fornita dall'articolo: "Il banchetto sotto i fiori di ciliegio"), opera muta diretta da Noburo Ofuji (autore noto nell'Europa di fine anni '20) e attualmente considerato perduto (tanto che raramente lo si trova indicato nei saggi storici dedicati all'animazione nipponica e nei siti web internazionali), ritenuto (erroneamente) il punto di inizio dell'animazione giapponese e così descritto: "una favola realizzata con i fogli colorati del 'chiyogami' (la carta sottile e trasparente) ritagliati sullo stile delle ombre cinesi e mosse su vetri policromi".

Phénix n. 21

L'indicazione di Hanamizake (noto in Francia col titolo "Le Petit Banc sous le cerisier en fleur") come punto di inizio della produzione animata giapponese è presente anche nel vol. 9 della francese Encyclopédie Alpha du cinémaincentrato sulla storia del cinema d'animazione internazionale, la cui sezione dedicata al Giappone è reperibile a questo link -, edita da Erasme nel 1974 e rieditata nel 1978, il che fa supporre che la Artom e Trinchero, noti da tempo in Francia per via del premio a loro assegnato per Gli eroi di cartone dalla rivista Phénix - con la quale Trinchero aveva anche già collaborato, pubblicandovi un articolo nel n. 6 del 1968 - a Parigi nel 1972, abbiano probabilmente attinto a fonti francesi per documentarsi sul fumetto e sull'animazione giapponese. Proprio in Francia, nel 1970, su richiesta dell'ambasciata giapponese, si tenne un'importante e pionieristica mostra dedicata al fumetto nipponico (probabilmente la prima iniziativa simile a svolgersi in Europa), di cui venne pubblicato sul n. 21 di Phénix (giugno 1972) un interessante resoconto, firmato da Claude Moliterni (curatore della mostra sui manga) e Kosei Ono, di cui è reperibile la trascrizione in questa pagina web.

Buddha, secondo Noburo Ofuji

Tornando all'articolo della Buongiorno, esso prosegue trattando un'opera di Ofuji molto importante per l'Italia, sulla quale è attualmente molto difficile reperire informazioni (anche nella sopra citata Encyclopédie non viene menzionata): "nel 1929 Ofuji aveva già impiantato un laboratorio più complesso e iniziato, con 52 collaboratori (animatori e tecnici), un cartone animato, questa volta disegnato, che richiederà tre anni di fatiche: addirittura il nostro Pinocchio collodiano. Il burattino ha gli occhi a mandorla, Geppetto è mongolo, il Pescatore Verde un barbuto samurai, la Fata dai capelli turchini una geisha. Siamo nel 1932: con Pinocchio è nato il cartone animato giapponese". Secondo altre fonti reperibili nel web (ad esempio qui), questa versione nipponica di Pinocchio sarebbe stata realizzata in stop-motion e non coi disegni. Anche questa versione di Pinocchio è attualmente irreperibile, per cui è impossibile fare ulteriore chiarezza su di essa, come approfondito in questo articolo del blog.

Nel corso del suo articolo, la Buongiorno cita un'ulteriore e più celebre opera di Ofuji, spiegando che esso "torna al chiyogami e alle ombre cinesi colorate con una Vita di Buddha (Saka no Shogai) del 1963" [1961, secondo fonti più recenti].

Proseguendo nella sua descrizione della storia dell'animazione giapponese, la Buongiorno parla della Toei Animation
"La Toei conta 350 tra animatori, disegnatori e tecnici (tra essi quel Yabushita Taiji che verrà chiamato il Disney giapponese); produce due lungometraggi l'anno (il Giappone annualmente ne sforna cinque o sei), e innumerevoli cortometraggi e serie televisive. Tra il 1959 e il 1962 la Toei fa man bassa di premi al Festival cinematografico di Venezia con Hakuja den (Il serpente bianco), firmato Yabushita; Shonen Sarutobi Sasuke (Il piccolo samurai), ancora Yabushita; Sayu-ki (Alakazam il grande), di Yabushita e Osamu Tezuka [alla regia di Sayuki, solitamente, è accreditato Daisaku Shirikawa al posto di Tezuka]. Quest'ultimo narra la medesima storia che ispirò i fumetti di Shifumi Yamané [storpiatura di Hifumi Yamane] negli anni Trenta: Alakazam [nome assegnato a Son Goku nell'edizione statunitense del film, intitolata "Alakazam the Great"] è uno scimmiotto vanaglorioso che sfida gli dei, l'epica si intreccia al sorriso disneyano. Nei cinema italiani il lungometraggio venne presentato come Le 13 fatiche di Ercolino, Ercolino sta per Alakazam [la versione italiana del film è basata su quella statunitense], in quegli anni il maciste cinematografico era di moda. Nel 1962 Yabushita strappa ancora un premio a Venezia con Shinbad no broken (Le avventure di Sinbad) [aka "Le meravigliose avventure di Simbad", co-diretto da Yoshio Kuroda], il marinaio delle Mille e una notte".
(fonte)

Copertina del libro I primi eroi (fonte)

L'origine dei manga
Dal dossier di Teresa Buongiorno pubblicato sul Radiocorriere

Pur se con alcune imprecisioni giustificabili dal periodo in cui venne scritto, in cui era molto difficile accedere a fonti sull'argomento, è sorprendente leggere informazioni sui primi film Toei che circolarono in Occidente e sul manga Son Goku di Yamane (risalente agli anni '30), di cui venne pubblicato un estratto da Garzanti nel 1962 all'interno del volume I Primi Eroicitato in una didascalia del dossier del Radiocorriere, relativa ad un'immagine tratta dal fumetto Tonda Haneko (1926, o 1928 secondo fonti più recenti) di Rakuten Kitazawa, anch'esso presente in I primi eroi e celebre per costituire il primo caso di manga che ha per protagonista una ragazzina, così descritta dalla Buongiorno: "Tonda Haneko, una giapponesina, in gonne corte che nel 1926 smaniava per il charleston" -, curato da François Caradec, di cui esiste una seconda edizione del 1965 e di cui è reperibile l'indice completo a questo link. E il dossier della Buongiorno non ha finito di sorprenderci, come si evince da quest'altro estratto:
Il Giappone, che è un attento lettore della letteratura mondiale per la gioventù, inizia una produzione di cartoni animati destinati al mercato internazionale e ispirati alla favolistica europea e ai classici per ragazzi: accanto alle Mille e una notte della Lampada di Aladino e di Alì Babà e i quaranta ladroni troviamo l'Andersen della Sirenetta e della Piccola Fiammiferaia, il Perrault del Gatto con gli stivali, il Grimm di Hansel e Gretel, come I Viaggi di Gulliver di Swift, L'isola del Tesoro di Stevenson, Senza Famiglia di Malot, tutti prodotti dalla Toei, mentre la Zujio [Zuiyo Eizo] realizza l'Heidi della Spyri (quello in programmazione sulla Rete 1) e l'Ape Maya, che ottiene strepitosi successi in Austria e Spagna. Intanto la Toei lancia in USA l'applauditissimo King Kong, un lungometraggio e una serie televisiva in 52 episodi.
Super 8 del film Senza Famiglia (1970)

Molte di quelle opere prodotte dalla Toei sono giunte anche in Italia (alcune anche al cinema), godendo di numerose trasmissioni durante gli anni '80 sulle tv private (in particolare nel periodo natalizio e pasquale), mentre altre sono rimaste inedite, come il film fantascientifico ispirato a Gulliver - Gulliver no Uchu Ryoko del 1965, al quale partecipa come intercalatore Hayao Miyazaki -, oppure, nonostante l'approdo in Italia, sono semi-sconosciute ed estremamente rare, come il King Kong (1966/1969) rivolto a un pubblico di bambini, frutto di una coproduzione nippo-statunitense tra Toei, Videocraft e Rankin/Bass Productions.

Gulliver no Uchu Ryoko
(fonte)

Ancor più sorprendente è però questo passaggio dell'articolo della Buongiorno in cui, per la prima volta in Italia, si parla del capostipite dei robot giganti ideati da Go Nagai:

I personaggi più celebri della fantascienza 'manga' giapponese si chiamano Mazinger Z (in oltre cento puntate televisive) [in realtà si tratta di 92 episodi, a cui vanno sommati i 56 del sequel Il Grande Mazinga], oppure Ruy, il ragazzo delle caverne ["Ryu", il nome corretto]: la lotta dell'uomo contro le macchine del futuro è la medesima combattuta dai primi uomini contro i mastodontici dinosauri. L'ultimo nato è Atlas Ufo Robot, quello che vediamo oggi sulla Rete 2. La macchina, in queste storie, è sempre uno strumento, diviene buona o cattiva a seconda che l'usino i malvagi o i puri di cuore. E nonostante il dispiegamento tecnico dei costruttori è la minoranza degli eroi positivi ad avere la meglio. L'antico messaggio di fiducia nell'uomo e nelle sue risorse rimbalza dalla nostra favolistica tradizionale in queste avventure del Duemila.
Dal dossier del Radiocorriere:
Pero il gatto con gli stivali, Mazinga Z,
Ryu il ragazzo delle caverne e Le 13 fatiche di Ercolino

Oltre ad indicare il nome internazionale di Mazinga Z, la Buongiorno ha riportato nel suo articolo quella che è una delle caratteristiche più innovative dei robot nagaiani, cioè il fatto di essere semplici macchine le cui azioni dipendono unicamente dalla volontà dei propri piloti ("Con Mazinga Z potrai essere come un dio o come un demone, dipende da te", dice il professor Kabuto nel primo episodio di Mazinga Z), sottolineando il tema del libero arbitrio, molto caro a Nagai. È davvero sorprendente vedere citata questa tematica nagaiana in un articolo italiano del 1978. E questo dossier riserva ancora molte sorprese...

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