sabato 10 maggio 2014

Pinocchio di Noburo Ofuji - Sulle tracce di un film perduto



Noburo Ofuji (1900-1961, a volte indicato come "Ohfuji") è un regista estremamente importante all'interno della cinematografia nipponica e internazionale, sebbene le sue opere siano attualmente molto difficili da vedere e pressoché sconosciute in Italia. Alcune di esse, purtroppo, si teme siano andate irrimediabilmente perdute, come il suo adattamento cinematografico di Pinocchio (1929-1932), che rappresentò il primo caso al mondo di opera composta da disegni animati, dedicata al burattino di Collodi. All'interno della critica italiana, ci fu addirittura chi la apprezzò maggiormente del Pinocchio disneyano.


Come indicato da Teresa Buongiorno nel primo dossier italiano dedicato all'animazione giapponese ad essere apparso su una rivista settimanale (il n. 17 del Radiocorriere TV, edito nell'aprile 1978), Ofuji era un cineasta molto noto nell'Europa di fine anni '20, poiché il suo cortometraggio La Balena - "Kujira", opera del 1927 incentrata su una drammatica vicenda in cui un gruppo di uomini si dimostra molto più mostruoso di una gigantesca e spaventosa balena, a causa della loro violenta e interminabile lotta volta a decidere chi tra loro dovrà possedere una donna -, venne acquistato da una casa di distribuzione francese che lo fece circolare nel nostro continente a partire dal 1929, ottenendo numerosi consensi e giungendo anche in URSS. Di quell'opera di Ofuji è attualmente visionabile, su youtube, un interessante rifacimento a colori da lui stesso realizzato nel 1952 e proiettato, l'anno seguente, con successo nella sezione riservata ai cortometraggi del festival cinematografico di Cannes, dove ricevette gli elogi di Pablo Picasso.

Una delle tecniche di realizzazione adottate da Ofuji per le due versioni de La Balena, è quella del chiyogamiritagli di carta colorata da animare con la tecnica delle ombre cinesi, a cui l'artista nipponico ricorse per molte delle sue produzioni -, producendo una sorta di perfezionamento dello stile di Lotte Reiniger, regista tedesca che produsse, con quella tipologia di animazione, numerose opere, tra cui un affascinante adattamento di Cenerentola (Aschenputtel, del 1922) contenente elementi cruenti in linea con la versione della fiaba tramandata dai fratelli Grimm, e del tutto assenti nel successivo adattamento della Disney, come si evince dalla visione dell'opera della Reiniger, disponibile a questo link.

L'evento del MOMAT di Tokyo

Tornando a Ofuji, uno dei tratti distintivi della sua attività artistica maggiormente apprezzato dalla critica internazionale, fu la sua versatilità tecnica e contenutistica, che gli consentì di sperimentare diverse forme di animazione (il chiyogami, i disegni animati, il cellophane colorato, ecc...) e di creare opere rivolte a tipologie di pubblico molto diverse, come i bambini nel caso di Kuro Nyago ("The Black Cat" del 1929, sorta di Silly Symphony nipponica con protagonista un gatto nero), o come gli adulti nel già citato caso delle sue due edizioni de La Balena e in quello di un'altra delle sue opere più note e apprezzate, Yureisen ("The Phantom Ship", 1956), la quale ricevette un premio speciale al festival del cinema di Venezia. Grazie al suo talento riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo, in Giappone venne istituito, a partire dal 1962, il premio "Ofuji" assegnato annualmente dalla critica nipponica alle migliori opere d'animazione d'autore, e negli USA il prestigioso MoMA (The Museum of Modern Art) di New York, inserì le sue opere all'interno di una rassegna, curata da Adrienne Mancia, dedicata ai pionieri dell'animazione giapponese, che si tenne nel gennaio 1977 dopo essere stata annunciata nel mese precedente con un comunicato (disponibile qui) in cui si spiegava come, durante gli anni '20, l'animazione fosse divenuta "l'ottava arte" in Giappone. Anche nella sua madrepatria, nel 2010, il MOMAT (The National Museum of Modern Art) di Tokyo ha dedicato ad Ofuji un'importante iniziativa per sottolineare la qualità delle sue opere, delle quali sta curando anche il restauro e la conservazione.



Il MoMA di New York presenta l'evento sull'animazione giapponese del gennaio 1977

Seconda e ultima parte del comunicato del MoMA.
Il testo venne pubblicato nel dicembre 1976

Copertina del libro di Enrico "Gec" Gianeri

L'importanza e la qualità del lavoro di Ofuji attirano, nel nostro paese, l'attenzione di Gec (pseudonimo di Enrico Gianeri, 1900-1984), l'autore del primo libro italiano dedicato alla storia del cinema d'animazione internazionale, Storia del cartone animato, edito da Omnia Editrice (editore di Milano) nel 1960. Questo è il volume italiano che, a tutt'oggi, offre le informazioni più dettagliate sull'adattamento cinematografico di Pinocchio curato da Ofuji, e che, molto probabilmente, è servito da documentazione per il sopracitato dossier sull'animazione nipponica scritto nel 1978 da Teresa Buongiorno, la quale, nel suo Dizionario della Letteratura per Ragazzi (Garzanti, 1995), ha ribadito l'esistenza del Pinocchio realizzato da Ofuji (cfr. pag. 45 e 394), film di cui, purtroppo, non risulta attualmente reperibile neppure un'immagine.

Di seguito, le parole con cui Gianeri descrive il Pinocchio di Ofuji:
Strano a dirsi, il primo tentativo di Pinocchio Disegno-Animato fu un Pinocchio orientale con gli occhi a mandorla, e fiancheggiato da un Geppetto mongolo, una Fatina dai Capelli Turchini dal sapore di soave geisha, un Pescatore Verde dall'aria di barbuto samuraj [scritto con la j]. La Cinematografia Nipponica pensò infatti di debuttare nel Cartone Animato, nel 1932, con un film sulle vicende dell'immortale burattino.
Il "Pinocchio" giallo fu, per i suoi tempi, il più lungo metraggio del Disegno Animato. Venne iniziato nel 1929 e costò ben tre anni di lavoro assiduo e meticoloso. Fu completato soltanto nell'ottobre 1932 ed aveva richiesto l'opera di ben 52 raffinati disegnatori sotto la guida di Noburo Ofuji, allora alle sue prime esperienze. Il "Pinocchio" nipponico, oltre ad essere il primo lungometraggio animato, si può considerare anche come il primo Disegno a colori in quanto, se non tutto il film, almeno alcune scene di esso erano state suggestivamente colorate grazie ad uno speciale procedimento chimico. Il film, che si divideva in tre parti, fu lanciato con grande successo di interesse e di critica nel dicembre del 1932. (cfr. pag. 186).
Si tratterebbe di un lungometraggio di estrema importanza storica, che precede di alcuni anni l'avvento del primo film d'animazione di Walt Disney, Biancaneve e i sette nani (1937). A quanto detto da Gianeri, va aggiunto che alcuni dettagli che sembrano riferirsi all'opera di Collodi sono presenti in almeno un'altra opera di Ofuji, il cortometraggio The Routing of the Tengu (Tengu Taiji, 1934), da lui diretto con lo pseudonimo di "Furo Koyamano". Nel finale di quest'opera, visionabile a questo link, si assiste all'allungamento del naso di un personaggio negativo.

Il film italiano su Pinocchio,
dal libro di Gianeri

Leggendo il libro di Gianeri, dove si dedica un intero capitolo (il nono, intitolato "Le cento maniere di cucinare Pinocchio", cfr. pag. 183) alle trasposizioni cinematografiche di Pinocchio, si trovano anche preziose informazioni su di un lungometraggio animato italiano dedicato a Pinocchio, Le avventure di Pinocchio. Curato da Umberto Spano con l'apporto dei disegnatori Mameli Barbara, Attalo (Gioacchino Colizzi), Raul Verdini e Mario Pompei (autore delle scenografie), questo film, stando a quanto scritto da Gianeri (cfr. pag. 188), entra in lavorazione nel 1932 e viene ultimato nel 1935, composto da un totale di 120 mila fotogrammi (alcuni dei quali a colori), e realizzato con la volontà di rimanere fedeli al testo di Collodi. Tuttavia il film, secondo Gianeri, non viene mai proiettato pubblicamente e attualmente, secondo varie fonti del web, è considerato perduto ad eccezione di alcuni fotogrammi, alcuni dei quali presenti anche nel libro di Gianeri.


La Fatina nel Pinocchio italiano,
dal libro di Gianeri


Pinocchio e Geppetto nel film italiano curato da Spano,
dal libro di Gianeri

Sempre in questo volume viene fornito un dettaglio molto importante sulle trasposizioni cinematografiche di Pinocchio: i produttori del film d'animazione italiano "avevano acquistato l'esclusiva per tutto il mondo di ridurre in film il celebre romanzo" (cfr, pag. 189). È ipotizzabile che l'esistenza di questo ipotetico "contratto di esclusiva" abbia potuto ostacolare e limitare la circolazione in Italia (la quale stava vivendo il periodo del regime fascista) del Pinocchio di Ofuji, facendolo rapidamente sparire dalla circolazione, e, probabilmente, creando anche qualche complicazione alla produzione del Pinocchio di Walt Disney (completato nel 1940), il che renderebbe più comprensibile i numerosi cambiamenti esistenti nella versione disneyana, dove sono state apportate modifiche alla storia, all'aspetto e ai nomi dei personaggi principali (parzialmente "corretti" dal doppiaggio italiano), come duramente osservato e contestato da Gianeri:
Molto è stato scritto su questo "Painosciò" che nelle prime rèclames fu annunziato come "Pinnocchio". Hanno trovato che il famoso burattino non ha il "naso tradizionale", lo ha cioè più largo che lungo, e inoltre che i suoi gesti non sono scattosi come quelli di una marionetta. Non si capisce mai quando sia ragazzo e quando sia fantoccio. Tale deficienza grafica non ci sembra il maggior male in quanto, considerando Disney un "illustratore", gli si deve concedere il diritto di concepire l'opera secondo una sua visione personale. (...) Il ragionamento è un altro. Il disegnatore ha il dovere di rendere graficamente lo spirito e l'ambiente dell'opera che gli viene affidata. Ricordiamo la "pignoleria" di Dickens con i suoi illustratori, pur grandi come Phitz o Seymour. È qui che Disney ha pugnalato alle spalle, sia pur con una matita, il vecchio Collodi. (...) Nel conformista tritacarne di Culver City il povero Pinocchio della nostra infanzia venne ridotto a salsiccia. In iscatola. Poichè se, a nostro parere, l'arbitrio grafico può trovare una giustificazione, esiste tuttavia un assai più grave tradimento ambientale e psicologico(...)
L'ambiente, a giudicare dai caratteristici orologi a cuculo di Bolzano o Cortina, è piuttosto Alto-Adige, e il "berrettino di midolla di pane" è trasformato in cappelluccio tirolese con piuma. Cose che avrebbero potuto costituire anche un valido sostegno alla tesi italiana ed un punto in sfavore del Wolkspartei in quanto Disney identifica tale regione con l'Italia di Pinocchio. Tutt'altra era l'atmosfera di Collodi. Un'atmosfera castagnaccio e duridimenta da paesotto toscano.
Il Pinocchio disneyano nel libro di Gianeri
La psicologia del burattino con la coscienza Grilloparlante in frack è inequivocabilmente una psicologia frutto del matrimonio - regolare - tra la signorina Reader Digest e mister Conformismo. Painosciò è un boy yankee che mastica chewing-gum, nato, per i casi della Liberazione, in Val Gardena. Il lungometraggio avrebbe meritato un titolo alla Mark Twain "Uno yankee nel Paese dei Balocchi" o, meglio, "nell'Isola del Piacere", poiché il fragoroso e suggestivo "paese dove non si studia mai" è stato americanizzato da Disney in una specie di Citera per "minori di sedici anni". 
La buccia di banana di Disney è fatalmente la Fatina dai Capelli Turchini, stilisticamente gemella delle stucchevoli e caramellose Biancaneve e Alice, impastate nello zucchero rosa come pecorelle pasquali siciliane. Su certi libri, cari a popoli e a generazioni, sarebbe opportuno apporre uno di quei tali cartelli "Off Limits" con cui furono largamente "decorate" le nostre città(cfr. pag. 190-191).
Pinocchio e Geppetto nella versione Disney.
Dal libro di Gianeri

In conclusione, va segnalato come in alcuni siti inglesi venga indicato il ricorso, da parte di Ofuji, alla tecnica della stop-motion (animazione a passo uno) per la creazione del suo Pinocchio, il che contribuisce a creare un ulteriore aspetto da chiarire e/o da smentire, legato a questo lungometraggio il cui eventuale ritrovamento sarebbe estremamente importante per il Giappone, per l'Italia e per la storia del cinema internazionale.

N.B. Si ringrazia Maria Teresa Antolin (http://sempreinpenombra.com/per la collaborazione alle ricerche del materiale per questo articolo.

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N. B. (Aggiornamento del 16/02/2016): Dall'archivio del Corriere della Sera, emergono nuove notizie sul Pinocchio di Noburo Ofuji.

Nel 1933 del film se ne fa breve accenno in un articolo di Orio Vergani: "In Giappone, Pinocchio ispira il primo "cartone animato" dell'industria cinematografica giapponese. Un viaggio un po' lungo, anche per un personaggio della fantasia. In Italia, dove era già stato portato alla ribalta delle marionette, si tenta, con il testo famoso, l'edizione del primo "libro parlato cantato e suonato" del mondo" (cfr. Pinocchio al grammofono, di Orio Vergani, 16/11/1933).


Un'ulteriore menzione risale invece al 1981, in un pezzo firmato da un autore anonimo: "Per la cronaca è stato Pinocchio a inaugurare la storia del disegno animato giapponese nel 1929, con le ombre di Noburo Ofuji" (cfr. Buon compleanno a Pinocchio e a Menotti, di Anonimo, 04/07/1981).

Molto più consistente, invece, il riferimento al film in un articolo (anch'esso anonimo) della rivista L'eco del cinema, risalente al 1933
Il primo cartone animato giapponese ha per soggetto Pinocchio del Collodi. (...) Questo primo cartone animato, annuncia l'Agenzia H, che è forse il più lungo come metraggio di pellicole e numero di disegni esistente nel mondo, è il frutto di tre anni di lavoro che è stato completato ai primi dell'ottobre scorso. Esso ha richiesto l'opera di 52 disegnatori, ed essendo in certi tratti colorato, si è reso necessario uno speciale procedimento chimico per la colorazione. Il cartone, diviso in tre tempi, sarà rappresentato a sè, come spettacolo unico, verso la metà del prossimo mese di dicembre, quando cioè sarà ultimata la sincronizzazione. Non è escluso che il cartone venga poi ceduto alle Case concessionarie europee per la programmazione nelle varie città d'Europa.
(cfr. Cinquantadue disegnatori giapponesi realizzano "Pinocchio", di Anonimo, L'eco del cinema n. 121, dicembre 1933; si ringrazia Maria Teresa Antolin di http://sempreinpenombra.com/ per la segnalazione di questo articolo).
Si coglie inoltre l'occasione per ricordare come il romanzo di Collodi, in Giappone, fu oggetto di polemiche e contestazioni negli anni '70, come raccontato in questo articolo del blog.

Aggiornamento del 31/01/2017: Come indicato in questo interessante articolo di Stefano Galeone dedicato alle prime opere del cinema d'animazione italiano e al libro Le origini dell'animazione italiana. La storia, gli autori e i film animati in Italia 1911-1949 di Raffaella Scrimitore (edito da Tunué nel 2013), al film su Pinocchio realizzato da Noburo Ofuji si allude nel seguente estratto da un articolo del quotidiano La Stampa, risalente al 1935:
L'anno scorso una Casa, nientepopodimeno giapponese, pensò di girare un film su Pinocchio: pare che oggi questa pellicola sia stata ultimata, ma non essendosi la Casa messa preventivamente d'accordo per la cessione dei diritti d'autore del libro, né avendo voluto ora acquistarli, il film è stato giustamente fermato.
(cfr. Pinocchio sullo schermo, di Gastone Bosio, La Stampa, 12/02/1935; l'articolo prosegue spiegando come i diritti per una trasposizione cinematografica del burattino ideato da Collodi siano stati acquistati da una società chiamata CAIR, Cartoni Animati Italiani Roma, responsabile della produzione del film italiano su Pinocchio curato da Umberto Spano, opera segnalata anche in questa pagina di IMDb)
Locandina dell'edizione 2005 delle "Giornate del Cinema Muto" di Pordenone

Per quello che invece riguarda le problematiche nelle ricerche, nello studio, nel recupero e nella divulgazione delle opere appartenenti al periodo del cinema muto giapponese, si riporta questo estratto dal catalogo (disponibile a questo link in versione pdf, con testi in italiano e in inglese) dell'edizione 2005 del festival "Le Giornate del Cinema Muto" di Pordenone ("Pordenone Silent Film Festival", il nome internazionale), all'interno della quale venne dedicata una retrospettiva al cinema nipponico ("La luce dell'oriente: omaggio al cinema giapponese", realizzata in collaborazione con la Shochiku e con l'archivio del National Film Center di Tokyo), così presentata a pag. 37 da Donald Richie (1924-2013, studioso statunitense esperto del cinema nipponico, la cui scomparsa venne commemorata con un lungo approfondimento da parte del quotidiano Japan Times):

Tutto il cinema dei primordi ha sofferto un alto tasso di logoramento, ma in Giappone le proporzioni del disastro sono veramente immense. Se due terzi dei film muti realizzati nel mondo sono andati perduti, e forse pure un quarto di quelli sonori, il tasso di distruzione delle pellicole nipponiche è davvero eccezionale. Tranne per alcuni noti titoli, del periodo 1897-1917 si è conservato pochissimo, e poco di più ci è rimasto della produzione che va dal 1918 al 1945. Il terremoto del 1923 [cfr. questo articolo del blog], i bombardamenti delle maggiori città nel 1945 [inclusa Tokyo, cfr. questo articolo del blog], la messa al rogo dei film banditi durante l'occupazione alleata e la successiva indifferenza dell'industria stessa hanno comportato la distruzione di forse il 90 per cento dei film giapponesi antecedenti il 1945. Se qualcosa ancora rimane, lo si deve agli sforzi del National Film Center e di altre istituzioni cinematografiche, oltre che alla sensibilità delle case di produzione più illuminate ed attente alla conservazione dei propri film, come la Shochiku.
Malgrado queste premesse così drammatiche, le ricerche su ulteriore materiale informativo o di altro genere relativo al Pinocchio di Ofuji, continuano...

Aggiornamento del 24/01/2019: Dal catalogo dell'edizione 2005 del festival "Le giornate del cinema muto" di Pordenone si riportano queste informazioni biografiche scritte da Fumiko Tsuneishi e relative a Noburo Ofuji, regista di cui fu proiettato il cortometraggio I ladri del castello di Baghdad (1926, titolo internazionale: "Burglars of 'Baghdad' Castle", titolo nipponico: "Jiyu Eiga Kenkyu-jo"), nel corso di quell'edizione del festival:
Noburo Ofuji (1900-1961), uno dei fondatori del cinema d'animazione giapponese, realizzò questo film agli albori della sua carriera. Laddove all'epoca si usava ampiamente il metodo della carta ritagliata, l'uso da parte di Ofuji dello chiyogami (la tradizionale carta giapponese) si rivelò innovativo, al punto da creare un nuovo genere, i "film di chiyogami". Anche se creare bamboline piegando il chiyogami era considerato un passatempo per femminucce, Ofuji conosceva la tecnica perché aveva una sorella più grande; in seguito ebbe a dire di aver realizzato il sogno di muovere quelle bamboline animandole sullo schermo. In effetti, si può dire che questo film consista in parte di animazione tridimensionale, visto che in alcune scene appaiono oggetti di carta piegata. Ofuji continuò a realizzare in proprio film d'animazione, uno o due all'anno, usando nuove tecniche o nuovi materiali. Due suoi titoli, Kujira (La balena; 1952) e Yureisen (La nave fantasma; 1956), con ombre ricavate dal cellophane colorato, riscossero un successo internazionale.


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