martedì 2 luglio 2013

L'uomo che piantava gli alberi, o della tenacia dell'individuo



Apparso nei primi anni ’90 su Raiuno all’interno del programma Fantasy Party di Maurizio Nichetti ed edito ridoppiato in dvd nel 2008, L’uomo che piantava gli alberi (1987) è un cortometraggio d’animazione narrante una straordinaria metafora sulla capacità di un singolo individuo di cambiare il corso della storia.


Il soggetto del film deriva da un breve racconto (edito nel 1953) dello scrittore Jean Giono (1895-1970), che col tempo ha fatto il giro del mondo, divenendo un testo simbolo per gli ecologisti e oggetto di studio nelle scuole francesi, suscitando un enorme interesse nei lettori che a lungo hanno ritenuto (erroneamente) si trattasse di un racconto autobiografico.

Recensione del racconto di Jean Giono firmata da Paolo Pejrone
Tratta dal quotidiano La Stampa del 04/11/2000

Nel 1987 il canadese Frédéric Back ne realizza un cortometraggio, curandone regia, sceneggiatura e animazioni – sembra di assistere a disegni a matita che si evolvono fluidamente per tutta la durata dell’opera, mescolando sapientemente momenti poetici, intimistici, violenti e toccanti – dall’aspetto insolito sia per l’epoca in cui venne prodotto, sia per i tempi in cui viviamo, dove la computer grafica domina in modo incontrastato.

Riguardo a L'uomo che piantava gli alberi, Back ha dichiarato:
I sentimenti di amore e di commozione, le virtù di perseveranza e di bontà, sono oggi spesso considerate cose da deboli e quindi rifuggite. Io credo che siano nobili e virili. Un personaggio come Elzéard Bouffier è virile, nel suo lavoro silenzioso e senza remunerazione. Oggi, specie nel cinema, si tende a confondere la virilità con la violenza(cfr. G. Bendazzi, Cartoons - Cento anni di cinema d'animazione, Marsilio, 1992, p. 545).

L’opera di Back vince un Oscar nel 1988 e dopo pochi anni viene trasmessa in Italia, la quale stava attraversando un periodo (anni ’80 e ’90) di enorme interesse e visibilità televisiva per l’animazione, dove opere provenienti da tutto il mondo (in particolare Giappone e USA) affollavano i palinsesti delle tv nazionali e locali, consentendo agli spettatori di costruirsi una vera e propria cultura “animata”.

Il cortometraggio inizia nel 1913 mostrando un ventenne che si avventura da solo, a piedi, in una zona di montagna sconosciuta ai turisti, tra i 1.200 e 1.300 metri di altitudine, dove le Alpi penetrano in Provenza. 


In quei luoghi silenzio, vento freddo, solitudine e aridità regnano incontrastati. Si scorgono solo i resti di un vecchio villaggio abbandonato, privo di acqua, con case diroccate e un campanile crollato. Tale desolazione, come noto all’uomo la cui voce narrante ci accompagna per tutta l’opera, si riflette nelle persone che vivono nelle comunità presenti in quelle altitudini, dove “le famiglie, serrate l’una contro l’altra, in quel clima d’una rudezza eccessiva, d’estate come d’inverno, esasperano il proprio egoismo sottovuoto; (…) le donne covano rancori, c’è concorrenza su tutto, per la vendita del carbone come per il banco” dove sedersi in chiesa; il vento irrita i nervi e sono numerosi i suicidi e i casi di follia omicida. Sono zone prive della speranza di riscatto umano e sociale, ma c’è un uomo che si distingue in tutto ciò: un pastore cinquantenne, Elzéard Bouffier, un tempo residente in una fattoria con la moglie e l’unico figlio, entrambi mortiRimasto solo, l’uomo non ha ceduto alla disperazione e al dolore, ma ha saputo reagire moralmente e fisicamente, andando a vivere in quella zona di montagna, con un obiettivo da perseguire: piantare con estrema cura migliaia di ghiande di quercia in quel vasto terreno arido di cui ignora i proprietari, per riportarlo alla vita. Nonostante lo scetticismo del narratore (il quale crede che il pastore sia un uomo anziano destinato a morire di lì a poco), due guerre mondiali, le difficoltà e lo sconforto con cui doversi scontrare ripetutamente, Elzéard riesce nella sua impresa: la zona, vasta oltre 30 km, rinasce grazie al suo meticoloso lavoro, destinato beffardamente ad essere incompreso dalle istituzioni e da una guardia forestale, che intima al pastore di non accendere fuochi all’aperto, perché potrebbero mettere a rischio l’esistenza di quella foresta sorta “naturalmente” e destinata a ridare sviluppo sociale, turistico ed economico a quelle zone dove vanno a vivere oltre 10.000 persone, la maggior parte delle quali, come quella guardia, ignorano chi di quella rinascita ne è l’autore.


Autore” è la parola chiave di una delle interpretazioni più diffuse di quest’opera, che ne rivela l’estrema attualità: Elzéard si può considerare un artista dalla vita segnata dalla sofferenza e dalle continue difficoltà, il quale ha il difficile compito di scontrarsi con una realtà dura, inospitale, dalla quale si vorrebbe solo fuggire poiché avvolta da solitudine e violenza (psicologica e fisica) che lacerano internamente le famiglie e le comunità che lo circondano. Come spesso accade ad un artista o ad una persona che si occupa attualmente di cultura in Italia, Elzéard opera in completa solitudine, oberato da mille difficoltà, contando su pochi mezzi e senza l’aiuto delle istituzioni, le quali possono decidere beffardamente di appropriarsi del suo lavoro, considerandolo un proprio risultato e privandolo così del giusto riconoscimento che gli spetterebbe. Tuttavia l’artista, in quanto tale, persegue con costanza il suo obiettivo, pronto a reagire alle mille difficoltà che lo affliggono, poiché consapevole che col suo lavoro può influenzare il corso degli eventi della propria comunità. Perché questo è l’obiettivo della sua vita, al quale non vuole sottrarsi.

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Aggiornamento (01/07/2016): Frédéric Back è scomparso nel 2013, il giorno della vigilia di Natale, all'età di 89 anni. Tra i suoi estimatori vi è il regista giapponese Isao Takahata (noto in Italia per aver diretto la serie tv di Heidi nel 1974), che l'ha anche personalmente incontrato in alcune occasioni, come mostrato nel documentario nipponico televisivo Sekai Waga Kokoro no Tabi: Isao Takahata (aka "World Journey of My Memory", o "Journey of the Heart: Conversations with the Man Who Planted Trees"), prodotto nel 1998. Inoltre, alla tecnica d'animazione utilizzata da Back per L'uomo che piantava gli alberi e per altre sue opere, Takahata si è ispirato per il suo film La storia della principessa Kaguya (aka "La storia della principessa splendente", 2013), come raccontato in questo articolo del blog. Prima della morte dell'artista canadese, Takahata riuscì a mostrargli personalmente il proprio lungometraggio, come testimoniato da questa foto scattata in quell'occasione.

Frédéric Back e Isao Takahata
Dal documentario nipponico del 1998

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